La cosiddetta
“questione morale” è istanza peculiare della
sinistra e dei suoi esponenti. L’espressione, forse
qualcuno lo ricorderà, fu coniata da Enrico Berlinguer, al
tempo segretario del Partito Comunista, al fine di mettere sotto
osservazione un certo qual legame tra affari e politica, talvolta
non troppo chiaro. Berlinguer parlò di “questione morale”
rivolgendosi agli elettori, non a un particolare schieramento politico.
Ma la “questione morale” fu ed è rimasta prerogativa
della sinistra. Giustamente. Certo non poté farsi
portavoce della denuncia berlingueriana l’allora governo pentapartito.
E negli anni ’90, nei corridoi che ad alcuni piacciono poco
della Procura di Milano, abbiamo anche capito perché. Non
può e non potrà farsi paladina della moralità
l’attuale maggioranza di governo, o almeno il suo
massimo esponente e parte dei suoi collaboratori. E, fino a pochi
giorni fa, non lo ha fatto. Giustamente, per coerenza. La “questione
morale”, il fatto che le telefonate di Fassino, le scalate
di Unipol, i “consigli” di D’Alema, siano un fatto
nuovo ed anche condannabile nella politica italiana sono tema da
sviluppare all’interno della sinistra, tra gli elettori, nel
confronto tra la base e i partiti. Con la destra spettatrice interessata,
è ovvio. Ma fuori dall’agorà. Perché
la destra, su questo tema, non ha nulla da insegnare e pochi giudizi
da emettere. Soprattutto il presidente del consiglio.
Ha ragione Fassino a dire che non accetta giudizi di moralità
da Berlusconi. Il segretario dei DS avrà sicuramente parcheggiato
in divieto di sosta, qualche volta, ed ha quindi infranto le regole;
ma ha la fedina penale pulita, non ha processi a carico, non ha
commesso reati caduti in prescrizione. Non so se lo stesso si possa
dire di Silvio, anche se in un sistema giudiziario (comunque è
bene ricordarlo), pieno di comunisti (a suo dire).
Fatta questa boriosa ma indispensabile premessa entriamo nel merito.
E cerchiamo di centrare subito il problema. La sinistra,
e quindi anche le sue “emanazioni” economiche, ha da
tempo accettato il capitalismo e le sue regole. O meglio,
parlando nel 2006, ha accettato la pressoché totale assenza
di regole nel capitalismo. Di questo gli elettori spero non si meraviglino:
il sogno socialista, almeno in Italia, era già tramontato
alla fine degli anni ‘70.
Certo, fa specie vedere come due cooperative nate con intenti di
mutuo soccorso e di solidarietà sociale (e così tutte
le cooperative, rosse e bianche) come Unipol e Coop investano i
loro profitti non sui soci ma in una scalata finanziaria. E un convinto
assertore della originalità delle cooperative come il sottoscritto
rimane quanto meno di stucco di fronte ad una simile operazione,
se non deluso.
Alla delusione di chi ancora spera che si mettano dei paletti ad
un capitalismo sfrenato, ad uno sfruttamento di risorse naturali
e umane che credo consegnerà un futuro assai incerto ai nostri
figli se non addirittura a noi stessi, subentra però l’obiettività.
Il “mondo di adesso” è fatto così. L’Unipol,
non dico per sopravvivere, ma quanto meno per rimanere al livello
che ha raggiunto, deve lavorare in maniera da trarre profitto da
operazioni anche spregiudicate. Deve accettare le regole del gioco.
L’Unipol non è una cooperativa sociale, l’Unipol
è una cooperativa, per dirla terra terra, di soldi. E se
il mondo dei soldi prevede opa, acquisti, vendite, offerte, ad un
ritmo sfrenato e a cifre vertiginose, cerca di starci dentro. Con
preoccupazione e talvolta sgomento dei soci e di chi ha sempre appoggiato
il mondo della cooperazione. Ma con stupore minimo dell’ambiente
finanziario. Fa differenza, alle alte menti della Finanza, dello
Stato, degli Affari, se a compiere operazioni del tipo “scalata
BNL” sono cooperative, aziende private, o privati cittadini?
Non credo. È per questo che non capisco l’intromissione
di condanna da parte di una fazione politica che, al contrario,
vede trionfare il proprio punto di vista e di azione. Dovrebbe
gioire la destra, non condannare. Perché, per condannare,
ci vuole la coscienza pulita. O, per dirla negli anni ’90,
ci vogliono le mani pulite.
Il dibattito, nella sinistra, è invece aperto. Perché,
per l’elettore medio di sinistra, i contatti tra i dirigenti
DS e le banche e le assicurazioni, sono un fulmine a ciel sereno.
Rappresentano il crollo di una religione (che per il sottoscritto
è crollata tantissimi anni fa), che vedeva nei dirigenti
politici PCI-PDS-DS dei cherubini immacolati, incapaci di peccare.
E invece non è così. Beninteso, nessun dirigente DS
ha commesso reati, mettiamolo bene in chiaro, perché anche
sui mezzi d’informazione si fa confusione. Telefonare a chicchessia
e dare consigli non è reato. Pranzare con chicchessia ed
esprimere preferenze non è reato. Specifichiamo. E se un
privato cittadino presidente di una cooperativa commette un reato
(si parla, ovvio, di Consorte), la sinistra e i DS non c’entrano
nulla, a meno che qualcuno (Silvio) non dimostri il contrario (o
faccia una gaffe clamorosa). E ancora: il movimento cooperativo
nella sua globalità non può essere identificato in
Coop o Unipol. Queste ultime sono cooperative diventate
ormai colossi nei rispettivi settori e sono, comunque, ancora casi
isolati nel panorama della cooperazione emiliana e nazionale. Ci
sono tante cooperative e tanti soci che hanno espresso anche aspre
critiche nei confronti della vicenda Unipol-BNL-Consorte (è
un peccato che non abbia preso una posizione così decisa
anche la Lega). Il movimento cooperativo emiliano-italiano è
e rimane un unicum assolutamente originale nel panorama economico
europeo, e per tanti versi, almeno per il sottoscritto, rimane ancora
un esempio a cui rifarsi e da seguire. E le accuse di collateralismo,
se provengono da destra, sono ipocrite e sterili: in Emilia le cooperative
sono tendenzialmente il meglio che ci sia sul mercato. Punto.
Tutte queste faccende, però, in seno ai DS e alle
coop, rappresentano per i cittadini un tradimento della cosiddetta
“questione morale”. Sono il tradimento di valori
solidi in cui il popolo della sinistra ha sempre creduto. Sono il
sintomo di un cambiamento radicale nella mentalità politica
degli uomini di sinistra di cui l’elettore intransigente e
storico non è stato avvertito. Certo, c’erano segnali
per accorgersene, ma non tutti hanno la stessa capacità di
cogliere il cambiamento attraverso dei simboli.
Non ho dubbi che la classe dirigente dei DS sia una classe
dirigente pulita, onesta, seria. Non lo stesso si può
dire di tutta la destra. Ormai, però, non c’è
più alcuna differenza nell’azione politica. E, se invece
un divario c’è ancora, è bene aprire un dibattito,
spiegare alla base dell’elettorato di sinistra quali sono
e dove sono le differenze dell’agire politico tra destra e
sinistra. Perché si fa fatica a capirlo.
Per ora quello che si riesce a capire è che anche a sinistra
si sono accettate le regole del gioco, e si partecipa alla disputa
rispettandole. Il capitalismo ha vinto, lo sapevamo già.
Ha vinto anche la “questione immorale”. Da un punto
di vista etico ha vinto la destra.
Non ci resta che sperare in Fausto?
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