Abbandonando
i treni, argomento che pare essere un tabù per qualche punto
di Mirandola, vorrei rispondere a Tano in merito all’esercito
USA in Iraq e a molte altre cose.
Non è sbagliato dire che l’esercito è
presente ai seggi di quasi tutti gli stati in cui si svolgano elezioni
democratiche. Questo per effettuare un effimero controllo
sulle operazioni e per garantire la sicurezza in un luogo dove confluiscono
(o potenzialmente possono confluire) un gran numero di persone.
Cosa che accade negli stadi, ai concerti, ovunque ci siano grandi
masse radunate assieme. La presenza è però di un numero
assai esiguo di effettivi; spesso, almeno nel passato, giovani che
stavano sostenendo la leva e quindi non militari di professione.
In Iraq, davanti ai seggi, c’erano schiere di marines
e volontari di un nugolo di stati invasori (tra cui la
maggiore sono gli USA, ma anche Italia, Gran Bretagna e tante altre),
armati di tutto punto, con autoblindo, carri armati, lancia
razzi e quant’altro. Non è la stessa cosa.
Non è la stessa cosa perché l’esercito schierato
e armato intimidisce i votanti. È come se, finita la seconda
guerra mondiale, gli USA fossero rimasti con le loro truppe a vigilare
sulle elezioni italiane, non bastassero la denigratoria campagna
anti-comunista statunitense e vaticana, le minacce sul piano Marshall
e quant’altro: sarebbe stato un plebiscito per la DC e, di
conseguenza, un altro pericolo per la democrazia (che forse, data
l’intelligenza dei politici democristiani, non si sarebbe
comunque verificato). Mettere delle truppe, numerose e armate,
all’ingresso o addirittura dentro i seggi, manda un messaggio
chiaro all’elettore: “ho un mitra puntato, sai già
che devi fare”. Che poi, effettivamente, nessuno
sia dentro ai seggi a controllare su che simbolo venga fatta la
croce, è un altro discorso, fatto sta che le menti deboli
(ma anche forti) si fanno influenzare da una presenza “violenta”
come quella militare.
Ora, l’obiezione sarà che l’esercito c’era
per garantire la sicurezza, che senza l’esercito ci sarebbero
stati attentati a tutto andare, le elezioni sarebbero finite nel
sangue e cose così. Ma allora, che bisogno c’era
di farle queste elezioni, se i rischi erano così alti?
Se una cospicua parte degli iracheni (perché se le forze
spiegate sono così ingenti vuol dire che i pericoli arrivano
da più parti) non voleva le elezioni ed era disposta a soffocarle
nel sangue, perché indirle in un clima di terrore (creato
dai ?terroristi? e dall’esercito invasore)? Perché?
Perché gli Stati Uniti esportano democrazia e quindi,
dopo mesi e mesi di barbarie, violenze, eccidi, bisogna pur dare
un segnale che la democrazia è stata esportata: con elezioni
svolte davanti ai fucili! Metodo fascista e sovietico.
Se questa è la nuova democrazia, sinceramente, non sono molto
d’accordo.
Gli Stati Uniti hanno avuto un grande merito nella loro
storia: quello di aiutare l’Europa ad uscire dalla seconda
guerra mondiale e ripartire dopo anni di tirannia e morte.
Merito enorme, non c’è che dire. Ribadisco l’aiutare
a fare, non il fare uscire. Le contingenze di allora erano però
assai particolari: l’Europa tutta era invasa dall’esercito
e dalla politica nazi-fascista, molti territori inglesi (inglesi
diventati amici degli USA) erano passati sotto il dominio tedesco,
l’Armata Rossa stava reagendo bene all’invasione voluta
da Hitler. Tutti questi fattori, gravissimi i primi, di vitale importanza
strategica per le influenza nel Vecchio Continente l’ultimo,
hanno fatto sì che gli USA spiegassero tutto il loro potenziale
bellico per la liberazione dell’Europa.
Poteva essere condivisibile anche la Guerra del Golfo, a difesa
di un paese pacifico invaso da un altro paese, l’Iraq. Iraq
che dal 1991 non ha più intrapreso guerre. Pensate, nel 2003
l’Iraq era “in astinenza da conflitto” da molto
più tempo degli USA!
In Iraq, nel 2003, non c’era nessuno stato di guerra, nessuna
invasione in corso, “semplicemente”, per così
dire, una dittatura, già indebolita dalla guerra del ’91
e dall’embargo (che indebolisce però più la
povera gente, che i dittatori). Dittatura sanguinaria, violenta
e oppressiva. Schifosa, come ce ne sono tante nel mondo.
Schifosa, ma evidentemente appoggiata da una buona fetta della popolazione.
Se è vero che nessuno mai è insorto contro Saddam.
Chi conosce la storia sa che spesso, purtroppo, le figure dei dittatori
sono amate e appoggiate dalla maggioranza della popolazione per
lungo tempo: lo è stato Mussolini, fino all’ingresso
in guerra, lo è stato Hitler, lo è stato e in parte
lo è tutt’ora Fidel Castro, lo è stato, incredibile,
Stalin. Lo era, molto verosimilmente Saddam. Sempre la storia
insegna che il popolo insorge quando l’oppressione diventa
insostenibile e l’appoggio per il dittatore scema. Batista,
Somoza, i regimi comunisti dell’est sono stati tutti abbattuti
per volere del popolo. Degli autoctoni. È chiaro,
ci sono voluti degli anni. Però i regimi non sono stati abbattuti
da una forza straniera che ha deciso la storia di un popolo.
La storia dell’Iraq non conosce democrazia, mai gli
iracheni hanno vissuto in repubbliche democratiche. Non è
nella loro cultura e storia, non ci sono abituati, non è
una cosa che si può imporre. La storia degli iracheni la
devono decidere gli iracheni. Punto.
Ora io auspicherei solo questo: che siano gli iracheni, popolo pacifico,
e non covo di terroristi come qualcuno pubblicizza in maniera razzista,
a decidere se Saddam va bene o no, a patire per la sua dittatura,
a gioire perché lo hanno destituito. E che gli Stati Uniti
intervengano perché invocati dalla popolazione, non perché
invocati dalle multinazionali.
Sennò, ditemelo voi, perché non esportiamo
la democrazia in Cina, dove ad una dittatura violenta e oppressiva
sono sottomesse un miliardo e mezzo di persone, non diciotto milioni?
E no, nel 2005 coi comunisti si fanno dei patti commerciali, non
scherziamo. La storia cambia.
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