Il sangue amaro dei partigiani
A volte, ahimè, la Storia
con la S maiuscola viene travisata. Rivoltata come un qualsiasi
guanto e gettata dall’altra parte, sull’altra riva,
senza un perché oggettivo e morale. Senza etica.
La storia della Resistenza italiana, nonostante qualcuno affermi
il contrario, è una storia assolutamente chiara e lineare.
Una storia che parte dal 1922, perché è già
dalla marcia su Roma che il primo antifascismo vede la luce, e arriva
fino al 1948. Una storia fatta di adesione, di malcontento, di disperazione,
di dolore, infine di ferito entusiasmo e di pace. E non è
vero, nonostante qualcuno affermi il contrario, che la memoria storica
dei morti di una certa fazione si sia persa, e solo grazie ad un
paladino della giustizia finalmente siamo risorti e, abbagliati,
abbiamo potuto riconoscere la Verità.
Perché la gente, i morti, se li ricorda. Se lo ricorda se
ha avuto uno zio fascista ucciso dai partigiani o un cugino partigiano
ammazzato dalle SS. Se lo ricorda anche se sui libri non c’è
scritto. Perché, diciamoci le cose in faccia: quanti di voi
sanno della strage di Monchio dai libri? Quanti di voi conoscono
le rappresaglie fasciste di Soliera perché lo hanno letto
da qualche parte? Quanti di voi sono consapevoli dei rischi che
tantissime famiglie della pianura hanno corso ospitando e nascondendo
nelle proprie case i partigiani che spiavano e sabotavano i tedeschi
e i fascisti? Pochi, forse nessuno. Sono tutte conoscenze mutuate
dal ricordo, dal racconto, dalla testimonianza. Tanto per i partigiani
che per i repubblichini. La Storia della Resistenza italiana non
è mai stata dipinta come un’epopea spettacolare. Per
convenienza, mica per altro. I partigiani hanno semplicemente vinto
la guerra combattendo PER la liberazione, CONTRO il regime dittatoriale
e il totalitarismo. Ce n’è di materiale per farci su
un poema epico, ma nessuno ce l’ha mai fatto. Perché
certi equilibri nazionali e internazionali andavano rispettati,
e così è stato meglio non esaltare troppo una guerra
vinta con coraggio.
Qualcuno dirà che i morti sono tutti uguali. Perfettamente
d’accordo. I morti sono tutti uguali. Quindi Adolf Hitler
morto è perfettamente uguale a Che Guevara morto, a Giovanni
Paolo II morto, a Gandhi morto, a Mario Rossi morto, ad Alessandro
Trebbi morto. Ma le vite, le scelte di vita, sono diverse.
Quindi nella tomba saranno pure stati uguali (e lo sono anche ora)
e meritano uguale rispetto, i morti repubblichini e i morti partigiani.
Ma in vita no. In vita non meritano uguale rispetto. E non sono
equiparabili. Mai. Mai lo saranno.
Non siamo qui a giudicare il perché uno abbia aderito ad
uno schieramento anziché a un altro: per convenienza, per
aver salva la pelle, per fermo ideale, per bieca e pazza follia
sanguinaria. Nel 1943 in Italia c’era da fare una scelta:
da una parte c’erano quelli che combattevano per una causa
giusta, dall’altra c’erano quelli che combattevano per
una causa sbagliata. Hanno vinto i primi, per fortuna. E i morti
partigiani sono morti combattendo per una giusta causa, consegnandoci
un paese se non democratico, almeno libero e pacifico. I morti fascisti
sono morti combattendo al fianco della potenza più folle,
sanguinaria e truce che la Storia ricordi. Sono morti combattendo
per una causa sbagliata. A volte, forse, non rendendosene ben conto,
è vero. Ma questa non può essere una giustificazione,
per nessuno.
Quindi un conto è il rispetto della morte, un altro è
il giudizio storico. E il giudizio sui repubblichini è, deve
essere e dovrà sempre rimanere implacabilmente negativo.
Gianpaolo Pansa ci ha squarciato il velo: quella che si è
combattuta dal settembre 1943 all’aprile 1945 in Italia è
stata una guerra civile. Bella scoperta… E alla fine di questa
guerra civile i partigiani sono stati cattivissimi e hanno ucciso
degli (ex?)repubblichini. Incredibile dictu. Dopo una guerra civile
la rappresaglia, la rabbia, la vendetta non sembrano eventi così
inusuali. Non che qui ci sia da giustificare per l’amor di
dio. Ma che scoperta è?
Sentite qua, in un’intervista che Pansa ha rilasciato al sito
della Destra Sociale:
«Molti dimenticano un fatto. Che c’è stata
una guerra civile. Una guerra civile è una cosa terribile.
Da una parte c’erano i militanti della Rsi in compagnia dei
tedeschi; dall’altra parte c’era questo fronte resistenziale
molto composito, variegato dal punto di vista politico e anche degli
obiettivi reali che ciascuno di questi gruppi si proponeva. E le
due parti si sono scannate. Uno che al tempo era un giovane ufficiale
della Guardia nazionale repubblicana, mi ha detto testualmente:
“Io ho fatto una guerra civile, e l’ultima cosa che
vorrei rivedere nella vita è un’altra guerra civile.
Una cosa folle”. Ma nel mio libro si spiega bene perché
si uccideva. Le guerre civili non sono come le guerre fra Stati,
che apparentemente finiscono con una pace, un vincitore, e uno sconfitto
che la paga in qualche modo, ma senza gli strascichi come invece
succede nelle guerre civili. In quest’ultimo caso la guerra
non finisce, c’è un momento in cui si capisce bene
che una parte ha vinto e l’altra ha perso. Ma poi continua.
E in Italia è continuata anche perché c’era
una spinta politica. Prima per cercare di far fuori il maggior numero
possibile di fascisti nella convinzione che più uccidevi
e meno il fascismo avrebbe rialzato la testa; e poi c’era
la voglia di annientare, o comunque annichilire, tutti i superstiti
delle forze armate della Rsi, per timore che tornassero a mettersi
in mezzo, essendo giovani e, come ben sapevano i partigiani, essendo
anche loro ragazzi di fegato. Infine, soprattutto nell’Emilia
del sud, cioè Bologna, Modena, Reggio, in Romagna e molto
meno a Parma e Piacenza, si uccideva in previsione della spallata
per la conquista del potere politico in Italia. E allora, tutta
questa roba insieme ha creato una specie di enorme fornace in cui
sono state bruciate un numero incredibile di vite».
Senza offesa. Una cazzata dopo l’altra.
Intanto vorrei sapere qual è la prova storica che gli “obiettivi
reali” di ciascun gruppo di partigiani fossero così
variegati. E soprattutto parlare di “obiettivi reali”
sottintende subdolamente che i partigiani avessero un secondo fine
o un fine altro rispetto a quello di liberarsi da una dittatura
ormai ventennale e da un invasore sanguinario e mostruoso. È,
insomma, un’insinuazione da querela, da denuncia, da galera.
Considerando che in Italia è andata in galera gente per aver
diffamato giustamente (si è scoperto poi, si sapeva già
prima) le Alte Cariche dello Stato. E quello che insinua Pansa è
palesemente ingiusto. E lo vedremo più avanti.
Poi, le due parti si sono “scannate”: qual è
la novità storica estratta da Pansa? Una popolazione oppressa
da anni ha combattuto, anche con ferocia, perché no, i dominatori
e gli invasori. Ferocissimi anche loro. Più dei partigiani.
Mi sembra che tutto fili liscio, e sia tutto ampiamente giustificabile
e storicamente provato da mille altre guerre civili, non vedo materiale
per scrivere un libro. Un altro.
Le cazzate serie iniziano però da questa frase: “Ma
nel mio libro si spiega bene perché si uccideva”. Grazie.
Pansa spiega bene perché. Meno male. Eccolo, il perché
su uccideva: 1) Per far fuori il maggior numero possibile di fascisti
ed evitare così che il fascismo rialzasse la testa (???)
2) Per la voglia di “annientare” (sic!!!) i giovani
dell’RSI perché avevano fegato (ma che vuol dire?)
e potevano tornare a mettersi in mezzo (quindi ripetiamo il punto
di prima, in sostanza ???) 3) Infine soprattutto in Emilia (ed è
qui che c’interessa) si uccideva in previsione di una fantomatica
“spallata” per la conquista del potere politico (che,
come è noto, è stato detenuto dai comunisti-partigiani
fin dal 1945 e non è un caso che ancora oggi il regime continui
con il più comunista di tutti i comunisti e il più
partigiano di tutti i partigiani, Romano Prodi ???).
Cerchiamo di procedere con ordine: intanto Pansa restringe il suo
“perché si uccideva” alla sola fazione partigiana
(cioè perché i partigiani uccidevano) e al solo dopoguerra.
Non gliene frega niente a nessuno il perché si è ucciso
prima del ’45 e chi ha ucciso chi e con che numeri e con che
metodi. Figuriamoci. Tanto è già stato detto e scritto
tutto? Per piacere…
La spiegazione semplice di quello che è successo nel post-25
aprile sta proprio lì, nel pre-25 aprile. Semplice semplice.
E come ben sa chi ha studiato un minimo di storia non è affatto
stato detto tutto su quello che successe in Italia (e nel mondo)
tra ’43 e ’45. Non è stato detto tutto per un
semplicissimo motivo diplomatico: c’era un ordine instabile
da stabilizzare e certo non avrebbe giovato il sapere perfettamente
cos’avevano fatto di preciso fascisti e nazisti durante la
guerra. Si sarebbe scatenata una spirale d’odio contro i vecchi
regimi e i loro rappresentanti. In questo l’Italia è
stata un esempio (forse, ahimè negativo) concedendo un’ampia
amnistia agli (ex?)fascisti (Togliatti) e varando una Costituzione
democratica. E tollerando, sottolineo tollerando (e forse sta qui
l’errore) la rinascita di movimenti fascisti. Perché
Pansa dice che «i partigiani non volevano introdurre nessun
elemento che potesse portare a un discorso più problematico
su quella che pure era stata l’esperienza decisiva, dico io,
per la libertà di questo Paese. Non volevano saperne. Ecco
perché Almirante non doveva parlare in nessuna piazza del
Nord. Non si poteva mettere in discussione l’immagine tutta
positiva dell’antifascismo partigiano». Costituzione
alla mano, Almirante non avrebbe dovuto parlare in nessuna piazza
punto e basta. La cosiddetta “santificazione” della
Resistenza è stata quindi più un’opera di cerimonie
che un’epica vera e propria. E chi ha studiato la Storia,
questo lo sa. Anche Pansa.
Passiamo al succo dei libri di Pansa. Le rappresaglie partigiane
del post-Liberazione, il “perché si uccideva”.
La teoria del giornalista de “L’Espresso” parte
dal suo primo libro, Il sangue dei vinti e si prolunga fino a La
grande bugia. Eccola: dietro le rappresaglie partigiane dell’immendiato
dopoguerra c’è stata la supervisione e l’organizzazione
del Partito Comunista Italiano. Che, come abbiamo visto prima, voleva
annientare il vetero-fascismo, voleva evitare che i giovani repubblichini
si montassero la testa e soprattutto (questa l’aberrante tesi
di Pansa), voleva, mediante questi eccidi, conquistare il potere
operando un ricambio sociale che portasse i dirigenti comunisti
e i militanti partigiani a soppiantare nei posti chiave delle amministrazioni
i borghesi, fascisti e non. Allucinante.
Ora, le rappresaglie partigiane ci sono state, questo non è
in discussione. E storici ben più storici di Pansa ne hanno
già parlato, eccome: Pavone e Peli, per dire i due più
celebri. Sono stati delitti anche efferati in alcuni casi. Ma non
si deve mai, e dico mai, omettere il contesto in cui questi delitti
sono maturati: un contesto di terrore, di morte, di lager, di sadismo,
di stragi di donne, bambini, uomini, fratelli, sorelle, figli e
madri. Stragi vere, che non hanno nulla a che spartire con le fosse
in cui sparivano 4 o 5 (ex?)repubblichini dipinte da Pansa come
stragi planetarie. Alle Fosse Ardeatine morirono 335 (TRECENTOTRENTACINQUE)
civili tutti assolutamente innocenti e inermi. Tutti assieme. A
Sant’Anna ne morirono 560 (CINQUECENTOSESSANTA). A Marzabotto
ne morirono 770 (SETTECENTOSETTANTA). Per arrivare a Modena, la
strage di Monchio contò 129 (CENTOVENTINOVE) morti. Tutti
prelevati dai nazi-fascisti dalle loro case, senza un motivo, senza
che fossero nemmeno partigiani. Solo perché erano carne da
macello. Solo perché gli atti dimostrativi, in guerra, si
fanno così.
Questo, quindi, questi fatti, non giustificano una vendetta? O meglio.
La vendetta non è giustificabile, ma spero siate d’accordo
con me, è comprensibile. Umana. Non erano umani i fatti precedenti.
Non erano umani i crimini dei nazisti e dei fascisti.
Poi, che le rappresaglie partigiane siano state anch’esse
sommarie, che il repubblichino di Scandiano non c’entri nulla
con Goebbels o Mussolini o Ciano e i loro efferati crimini, siamo
tutti d’accordo. E infatti la vendetta non risolve nulla e
anzi, serve solo ad alimentare la spirale d’odio. Ma dopo
una guerra civile, dopo quello che tanti italiani avevano passato
in campi di prigionia folli, beh, poteva essere una logica conseguenza.
È la logica conseguenza, ovunque nel mondo e nella storia:
sarebbe bello che non fosse così, ma i partigiani sono stati
brutalmente conformisti. E, lo ripeto, umani. Perché i partigiani
avevano condotto una vita diversa.
E il tutto è avvenuto senza nessuna macchinazione politica.
Senza nessun ruolo del PCI: la teoria di Pansa è sconfessata
dalla storia d’Italia. Se così fosse stato, se il PCI
per mezzo dei partigiani avesse voluto prendere il potere, beh,
mi spiegate perché in Italia nel 1948 la DC STRA-vinse le
elezioni? Perché Togliatti regalò un’amnistia
che fece uscire dal carcere 7000 (SETTEMILA) criminali fascisti
(con le più diverse colpe)? Perché la burocrazia fascista
(gli impiegati in sostanza) rimase più o meno totalmente
in piedi (giustamente, sennò ci sarebbe stato un pericoloso
blocco istituzionale e amministrativo)? Perché Togliatti,
dal letto d’ospedale, per radio, invitò i partigiani
già coi fucili in braccio dopo l’attentato a lasciar
perdere, a non far ripiombare l’Italia nel baratro della guerra?
Quello stesso Togliatti che Pansa dipinge come il macchinatore delle
vendette partigiane?
I libri di Pansa si basano su fatti realmente accaduti (quasi tutti).
Ma non c’è eroismo, nelle morti del dopo 1945. L’interpretazione
storica di Pansa è assolutamente priva di fondamenta. Sterile.
Demagogica. Presuntuosa, perché totalmente libera da vincoli
documentaristici. Assolutamente fuori contesto, perché nelle
pubblicazioni di Pansa non si fa mai cenno a ciò che successe
prima, al pregresso. Perché è quella la Storia d’Italia.
E quello che è successo dopo deve essere senza discussioni
e senza “se” mediato da quella Storia. Per questo la
disamina di Pansa è molto, molto pericolosa. Perché
mina le basi della storiografia e della realtà oggettiva
dei fatti. Perché letteralmente “inventa” la
Storia.
Purtroppo, su quella Storia, non c’è nulla da inventare.
Le vite vissute dai partigiani e dai repubblichini sono diametralmente
opposte. È lì la differenza.
I pazzi omicidi c’erano dall’una e dall’altra
parte. La giustizia della causa per cui combattere da una sola.
E noi dobbiamo rispettare e ringraziare per sempre i partigiani.
Avessero vinto i vinti, non saremmo qui a parlarne, di quella Storia.
P.S.: questo scritto deriva dalla sentita indignazione derivante
da uno sconcertante articolo che descriveva una curiosa situazione
a Verona. Nel pezzo in questione (“La Repubblica”, 24
luglio 2007) si riportava la richiesta del consigliere comunale
di AN, eletto responsabile dell’Istituto Storico dopo una
sbalorditiva votazione, di “commemorare con pari dignità
i combattenti partigiani e i soldati di Salò” nella
prossima celebrazione del 25 aprile. Lo stesso consigliere, tale
Miglioranzi, dichiarava: “In passato, proclamarmi fascista
mi è costato il carcere, ma ora farò sentire la voce
dei vinti, di tutti quelli che dal 1945 a oggi sono stati imbavagliati
dai vincitori”. Anche soltanto 15 anni fa non sarebbe mai
successo. Ma ora qualcuno vuole riscrivere la Storia. Stuprandola.
Travisandola completamente. Offendendoci. E, per quanto possiamo,
non dobbiamo permetterlo.
|