Capannoni senza fine, tetti senza fine, orge senza fine nel vasto
sottobosco di Roma che vive all’insaputa, che pulsa di un
cuore esangue ed esausto. Un cuore che è stanco di vivere,
sì, ma che non trova la forza per morire, chè sempre
in forma di rosa crede il giorno che verrà.
Botteghe, mercati, rioni brulicanti di anime che non significano
nulla, nemmeno a se stesse.
Sono le notti che scorrono infinite nella speranza di un tentativo,
nell’occasione di un espediente, forti solamente della disperata
vitalità che anima e animerà per sempre questo popolo
verace.
Così guardo quelle borgate romane che sto tentando di far
affiorare nei miei trattati, io, interposta persona tra chi è
passato sui giornali come un bolognese finocchio e quel filone sotterraneo
che non emerge e non emergerà mai. Sottoterra a volte c’è
oro, ma qui nessuno ha voglia di scavare. Sottoterra, il popolo
falso, vede le ceneri. È la religione del nostro tempo: l’indifferenza.
Guardo le borgate romane con occhio ammirato, perché ammiro
la persona che ha saputo amare i poveri pur non essendo povera.
Amare. Non comprendere, capire, compatire, aiutare. Amare, sissignore.
E come i corsari, il poeta ha fatto razzia di queste ceneri che
sono diventate oro in versi e ritratti di sublime constatazione.
Da incolpevole borghese, non per scelta ma forse istintivamente
felice di esserlo, capisco finalmente che non è facile.
Non è facile amare chi ti vede con sospetto, chi ti ritiene
(giustamente? Giustamente) causa dei suoi mali. Non è facile
amare soprattutto chi vive di sotto.
Ci provo e ci proverò. Intanto guardo.
E provo a spiegarmi e a spiegare. Empatia.
Non è sufficiente, dirà qualcuno.
Ma c’è anche chi non ha occhi per guardare. E questa
è una colpa ben più grave della mia.
Un grazie di cuore, Pier Paolo Pasolini.
32esimo anniversario della morte.
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