C’è fermento, come direbbe qualcuno. E qualcun altro,
magari un po’ nostalgico, sì, però ancora giovane,
direbbe anche che era ora.
Perché la riforma dell’istruzione non è
solo inopportuna, completamente decontestualizzata, fuori dal tempo
e irrispettosa anche di alcuni diritti: sì, diritti.
Ma è, per dirla con un termine che noblesse, in questo caso,
oblige, una porcata. Che oltretutto non si spiega, per due motivi:
a) che bisogno c’era, cosa imponeva nel brevissimo termine
una riforma della scuola così vasta e radicale? b) il governo
ha da sempre dichiarato di voler difendere le tre “i”,
di voler incentivare istruzione e ricerca. E invece disegna una
riforma che va assolutamente in senso opposto, che taglia i fondi
sotto l’egida di una presunta razionalizzazione delle spese:
cioè, prima tagliamo l’Ici per vincere le elezioni,
poi per recuperare i soldi che abbiamo volontariamente buttato nel
cesso, tagliamo i fondi a scuole e università? Cioè
il ramo che, assieme alla sanità, dovrebbe essere intoccabile
in uno stato che si occupa dei suoi cittadini. Si fa così,
adesso, nel 2008? Perfetto!… Insomma, una riforma demenziale,
ahimè, e ora vi spieghiamo perché, trallallero trallallè!
Parliamo delle scuole primarie. Perché è vero che
i bambini non vanno strumentalizzati nelle proteste, facendoli diventare
portavoce di istanze che non conscono. Ma se le conoscessero s’incazzerebbero,
eccome. L’orario scolastico ridotto a 24 ore settimanali,
un’imposta riduzione delle classi che porterebbe il reintrodotto
maestro unico a dover gestire più di 30 bambini per
volta vedendosi oltretutto “tagliati” molti
colleghi, tra cui gli insegnanti d’appoggio per i bambini
con handicap… se aggiungiamo che nelle classi aumenta sempre
più il numero di bambini stranieri (se aumentano i bimbi
nelle classi, aumentano anche gli stranieri, che sono in aumento
già di loro), come si fa a insegnare? Cioè, parliamo
di insegnanti o di badanti, di maestri o di guardiani che per una
serie di motivi che facilmente intuirete (ampiezza delle classi,
scarso numero di ore, eterogeneità degli alunni, presenza
di casi sociali o portatori di handicap non adeguatamente seguiti)
non potranno portare avanti il programma, non tutto, non bene?
Poi c’è da tutelare il tempo pieno, che falsamente
viene difeso dalla Gelmini: torniamo indietro di trent’anni?
Costringiamo le mamme a stare a casa? A spendere tutto lo stipendio
guadagnato con sta benedetta emancipazione in baby-sitter? Ma sì
dai, così facciamo girare l’economia, e le insegnanti
che abbiamo tagliato dalla scuola primaria se ne vanno a fare le
baby-sitter in casa di chi se le può permettere e che non
rompano più i coglioni!
Nessun confronto, nessuna logica che abbia davvero tenuto in considerazione
il sostantivo che dà il nome al ministero, l’Istruzione,
solo il ragioneristico svolgimento di un compito assegnato da Tremonti.
Ha ragione Crozza, purtroppo: dal maestro unico al coglione unico,
il passo è breve, brevissimo.
Vogliamo poi parlare delle cosiddette “classi d’inserimento”?
No perché qua sfioriamo le leggi razziali, e anche
questo deceto è stato incredibilmente già approvato…
Penso che sia tutto collegato, alla fine: riduciamo il numero dei
maestri, quindi niente più appoggi e recuperi per chi è
indietro col programma e/o con l’apprendimento della lingua
e quindi? Una classe a parte per gli extracomunitari, via brutti
negracci, statevene per i fatti vostri, e se poi non avete imparato
la nostra cultura e la nostra lingua, giù legnate, schifosi
che non vi volete integrare! Ah, siamo stati noi a segregarvi?…
beh, chissenefrega, è colpa vostra! A casa!
Ha perfettamente ragione Fassino (babi in tutto il resto
eh, sia chiaro!) a dire che la cosa gravissima sia la discriminazione
tra i più piccoli, perché è proprio a quell’età
che si dovrebbe procedere con l’integrazione, e invece non
solo non si agisce in questo senso, ma addirittura si discrimina,
si insegna il razzismo, la separazione, la ghettizzazione, non la
coesione. Va poi a finire che, in questo clima, tornano i fascisti
con le spranghe e via giù legnate, ancora: una volta c’erano
solo i comunisti, da menare, adesso comunisti e neri e arabi ed
ebrei… che bello, quanta gente, quanto lavoro! … e pensare
che “qualcuno” dipinge ancora come facinorosi gli studenti
di sinistra…
E poi i tagli, gli ennesimi, alla ricerca. Anche qui mi rifaccio
a quanto ascoltato: ha ragione quella studentessa che dice che l’università
italiana sembra quella di Cuba. I professori sono spesso ottimi
e qualificati, mancano i soldi per strutture di eccellenza, ci si
arrabatta con quello che c’è e che si è capaci
di trovare. A volte ci sono picchi elevatissimi di qualità,
a volte voragini e dispersioni. E, come a Cuba, la gente “fugge”,
se può, per cercare fortuna e soldi altrove, perché
in Italia fortuna e soldi per la ricerca non ce ne sono. Quindi
beffa doppia: i soldi (sempre meno a quanto pare) si spendono per
formare persone che poi vanno a lavorare all’estero, perché
in Italia mancano le strutture.
La soluzione? Sotto la giusta osservazione che gli atenei pubblici
hanno proliferato indiscriminatamente, tagliamo tutto e chi s’è
visto s’è visto!
C’è un clima da regime, ormai, ahimè
tocca dirlo e sono uno dei pochi che da sinistra non l’ha
mai sostenuto, coi precedenti governi Berlusconi: ma purtroppo la
contingenza è diversa. Ci sono i numeri parlamentari, eclatanti,
ci sono le scuse, per una svolta autoritaria: la crisi economica,
il dissesto finanziario, i troppi immigrati, la campagna sulla criminalità
imperante nelle città. Il rischio, ora, c’è,
signori. E lo dimostrano le dichiarazione del governo, le azioni
della polizia a Roma, il proliferare, sempre a Roma, di gruppi violenti
che si ispirano al duce e ad un vecchio sistema di soluzione dei
conflitti.
Ben vengano studenti in piazza, insegnanti in piazza, professori
in piazza, scioperi e quant’altro faccia rendere conto al
governo ma soprattutto alla gente, chè il governo non ascolta,
che l’Italia questa volta non dorme. Insomma, non sarà
come quasi novant’anni fa, questa volta.
Speriamo…
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