E venne il giorno.
Dopo mesi di detto e non detto, di velate anticipazioni, di non
convinte riconferme.
Ci potrebbe essere qualche dubbio sul definire Andrea Giani
una bandiera della pallavolo modenese. Forse no, non lo
può essere come lo è stato Cantagalli, come lo fu
Dall’Olio, come lo furono i vari Sibani, Nannini, Morandi,
Bertoli, come lo sono stati in panchina Anderlini o Velasco. Perché
prima che grande campione nella Daytona che ha vinto tutto, e a
più ripetizioni, il Giangio è stato acerrimo nemico
nell’odiata (e ahimè scomparsa) Maxicono. Perché
il Giangio non è di Modena, non è della nostra zona,
non è pallavolisticamente cresciuto qui dove invece sono
cresciuti Cantagalli, Lucchetta o Dall’Olio. Abbiamo
già terminato le prove contro, però. Giani ha dato
moltissimo alla pallavolo gialloblu, come giocatore prima, come
uomo poi e mentre, in questi dodici anni. Ha dato meno
come allenatore, e ha sicuramente pagato l’inesperienza del
noviziato e una voglia di scommettere e rischiare che forse non
doveva seguire, non adesso almeno, che la corazza da tecnico ancora
non era ben solida. Ma non può essere una colpa così
grave. O almeno non può essere una colpa altrettanto grave
rispetto a quelle che ha la società che su di lui ha investito,
con una mossa d’immagine lo scorso anno, senza nessuna convinzione
e in mancanza di valide alternative che pure erano state sondate
nell’estate appena trascorsa.
Se ne va una bandiera quindi, possiamo dirlo. Ma se ne va
a testa altissima (e le bellissime dichiarazioni di ieri
lo confermano), perché Giani alla pallavolo modenese ha solo
regalato e mai tolto: in quest’ultima stagione e mezzo magari
ha perso un po’ i riferimenti, ma l’ha fatto in assoluta
buona fede e con grande generosità, sempre. Diciamo che forse
troppo spesso si è trovato da solo con le sue incertezze
comprensibilissime, nello spogliatoio e di fronte ai piani alti
del PalaPanini. Che in quest’ultima stagione non lo hanno
difeso mai davvero, ma solo di facciata, per evitare e ritardare
fino al momento dell’inevitabilità un’operazione
(quella dell’esonero) di sicuro malvista dalla piazza e dai
tifosi.
Da quando il volley di Modena è passato di mano,
da Vandelli a Barone e Grani nel maggio del 2005, la Cimone-Trenkwalder
non ha più vinto nulla di significativo, perché
non credo si possa considerare la Challenge Cup significativa e
degna di essere presa in considerazione, di fronte a scudetti, coppe
dei campioni, coppe Cev, coppe Italia, supercoppe e quant’altro.
Negli ultimi due anni dell’era Daytona, nei quali patron Vandelli
aveva cercato inutilmente compratori, era arrivata soltanto (visto
cosa si prospetta oggi, si fa per dire) una Coppa Cev contro Piacenza,
con Modena incapace di entrare nei play off, prima con Menarini
subentrato a Lorenzetti, poi con Velasco. Due stagioni fallimentari,
di smobilitazione, ma comunque costruttive per il post (con buoni
acquisti), e che venivano dopo una messe decennale di successi.
Nei tre anni, ormai possiamo dire quattro, di era Grani (e Barone)
i play off sono sempre arrivati, ma è sempre arrivata anche
l’eliminazione immediata nei quarti di finale, così
come in Coppa Italia, così come è arrivata un’incredibile
sconfitta nella finale casalinga della poco pregiata Top Teams Cup
al cospetto di un Bled modestissimo anche per una A2 italiana. Così
come è arrivato il successo in Polonia nella Challenge Cup,
sia mai che ce lo scordiamo. Sono cambiati tre allenatori, ma su
nessuno dei tre (Velasco, Bagnoli, Giani) la società ha mai
puntato con assoluta convinzione, chissà perché. Sono
cambiate le squadre, prima ruotando (male) attorno all’adorato
e mai vincente nei club Ricardo, poi, una volta eliminati lui e
i suoi protettori, attorno a un’idea un po’ confusa
di rinnovamento, di ringiovanimento, di progetto, non seguendo comunque
le indicazioni del tecnico (Giani).
Il paragone coi primi anni di Vandelli (che come Grani era
entrato con entusiasmo e spendendo tanto nel volley) sono impietosi:
al termine della sua terza stagione la Daytona nata nel 1993 aveva
già nel carniere uno scudetto (1995), una Coppa Campioni
(1996), due Coppa Italia (1994 e 1995), una coppa delle Coppe (1995)
e una Supercoppa Europea (1995). E si apprestava a vincere il suo
secondo scudetto e la sua seconda Coppa Campioni (con Giani in campo).
Non si può certo dire che Vandelli, in proporzione, abbia
speso più di Grani. O se la differenza c’è,
è davvero minima. È vero che il volley adesso
non è più quello degli anni ’90, e mentre prima
tutti i migliori giocavano da noi, adesso la stragrande maggioranza
di brasiliani, russi e americani (i top, ora come ora) stanno altrove.
Ma è una situazione, questa dell’involuzione del campionato
italiano e del livello dei giocatori nostrani, che riguarda tutti,
non solo Modena, evidentemente. Vandelli ha semplicemente speso
meglio. È stato consigliato meglio da collaboratori scelti
con oculatezza (vedi Giovanardi, Bertoli o Recine). Ha investito
su una squadra nuova, su una commistione di certezze solidissime
(Cantagalli, Mauricio prima e Vullo poi, Bracci e Giani dal 1996)
e scommesse ben adocchiate (Cuminetti e Van De Goor, per citarne
due soltanto). Pietro Peia (perchè è lui il deus ex
machina di questa società) queste scelte le ha sbagliate,
non c’è da discutere. E dopo aver annunciato il suo
“ritiro” dalla scena ha continuato a fare mercato, a
mettere in discussione i tecnici, a fare e disfare.
E poi ci sono prospettive diverse. Come detto poc’anzi, Grani
e Barone (e Peia) hanno speso tanto per la prima squadra, ma hanno
speso, onestamente, male. Riempiendo di soldi e facendo
capitano un palleggiatore che del capitano non ha nulla, spendendo
una cifra astronomica per assicurarsi uno schiacciatore come Dennis
che al suo attivo aveva, è vero, una stagione e mezzo giocata
ad alti livelli, ma anche tanti anni di semi-anonimato, con estati
intere addirittura alla ricerca di una squadra. E poi, voi che di
pallavolo ve ne intendete, quanti martelli di posto 4 mancini fortissimi
conoscete? Per dire… Con tutto che Dennis è un onestissimo
giocatore, ma certo non un campione, un fuoriclasse, come è
stato dipinto al suo arrivo. Per non parlare poi degli acquisti
di Andrè, Heller o Messana, subito sconfessati, o delle improvvisate
mal riuscite con Nalbert e Cardona, o delle dipartite poco spiegabili
di Pippi e Felipe.
In mezzo a questo andirivieni, la società ha sempre
dichiarato di puntare e investire tanto (ma non si sa quanto) sui
giovani. Vandelli non ha mai celato il fatto che il settore
giovanile, la Daytona, ce l’aveva solo perché obbligata.
Per lui che voleva il blasone delle vittorie con la prima squadra,
i giovani erano solo una voce di spesa in più, non una fonte
di possibili successi futuri. Però ci sono due però:
innanzitutto la prima squadra di Vandelli vinceva, e tanto, e quindi
la gestione delle spese, per quanto criticabile, ha portato indiscutibilmente
a raggiungere gli obiettivi fissati. In secondo luogo le squadre
giovanili di Vandelli non hanno ottenuto risultati troppo distanti
da quelli che ottiene oggi l’Anderlini-Trenkwalder, e questo
è preoccupante vista la diversità d’intenti,
dichiarazioni e spese, anche se è vero che i progetti si
costruiscono alla lunga, e questo è partito solo da 5 anni.
L’allora Under 18 giocava benino in serie C, l’odierna
Under 20 prova a cavarsela in B2. Qualche scudetto nelle
categorie più piccole (tra cui quello sublime in
Under 14 di chi vi scrive) per entrambi i periodi, mai
un acuto nelle categorie che contano, Under 18 e Junior League,
quelle dove davvero si vede chi ha stoffa per puntare in alto e
chi no. Nessun giocatore, mai, passato dalle giovanili alla prima
squadra o se non altro in serie A, anche da un’altra parte.
Perché (senza nessuna offesa per i miei amici) le apparizioni
di Soli o Pignatti o Sangiorgio o quest’anno di Bartoli non
possono definirsi altro che, per l’appunto, apparizioni. E
incredibilmente il giovane che ha giocato di più in prima
squadra in questi ultimi anni è stato Fabio Donadio, che
nelle giovanili della Pallavolo Modena non ci ha mai giocato nemmeno
un set, prima di approdare in A1! L’unico del vivaio
dell’ultimo decennio che gioca stabilmente (ma non sempre
titolare) in serie A è Marcello Forni. Era Vandelli. È
arrivato alla Daytona dalla Villa d’oro con me, io ero la
sola. Stop. C’è da ripensare bene a come affrontare
il discorso del settore giovanile, e capire se non sia meglio convogliare
davvero molte risorse alla ricerca (in Italia e nel mondo) di giovani
talenti come fanno Cuneo (Martino, Parodi e Rosso vi dicono nulla?
E Gavotto, Sottile ecc?), Treviso (Saitta, Maruotti, Antonov, in
tempi meno recenti ma non lontanissimi Lasko, Semenzato, Fei e Cisolla)
e Macerata (Paparoni, Bari e Della Lunga sempre marchigiani). Oppure
dire che il budget è limitato e smetterla con esperimenti
(tipo quello di Bertoli jr dello scorso anno) poco utili agli atleti
interessati e alla squadra stessa. Si aspetterà un giovane
campione modenese, sperando di individuarlo e saperlo valorizzare
spendendo poco. E basta.
Concludendo.
Va bene l’esonero di Giani, nel senso che in una stagione
così una scossa bisogna darla. Anche se forse è
arrivato troppo tardi e dopo un tira e molla francamente inspiegabile:
se Giani doveva andare, doveva essere mandato via prima. Ma non
sta lì, non sta nel tecnico o nei tempi dell’esonero,
il problema della Pallavolo Modena, adesso. Quello dell’allenatore
(che comunque non ha saputo infondere ai suoi mentalità giusta
e sicurezze, e forse ha un po’ perso il polso dello spogliatoio)
è un problema se non marginale, di minor portata.
Perché se una dirigenza fa una squadra come la Trenkwalder
2008/2009 e alla presentazione dice di voler puntare alla semifinale
scudetto e alla Final Four di Coppa Italia, lì, con la lista
dei giocatori sott’occhio, beh, allora vuol dire o che si
fanno affermazioni tanto per scaldare la piazza o che non si ha
ben chiaro che cosa si ha in mano. Perché la Trenkwalder
sicuramente sta rendendo sotto le aspettative e meno di quello che
effettivamente vale, ma, nomi alla mano, è una squadra che
se entra nei play off ha già fatto moltissimo e merita un
ringraziamento da parte dei tifosi. E la semifinale non potrà
essere un obiettivo raggiunto, ma un autentico miracolo sportivo,
qualora arrivasse. Treviso, Cuneo, Piacenza, Macerata e Trento sono
molto più forti in partenza. Montichiari è un po’
più forte. Perugia e Verona sono alla portata ma più
quadrate. Martina Franca e Vibo allo stesso livello. Pineto, Forlì
e Padova più scarse (ma con due Modena ci ha perso). Come
si fa ad arrivare in semifinale? Forse è davvero meglio pensare
prima di tutto a non retrocedere. Poi vedremo.
Giustamente Molducci dice che fare due scommesse in una
volta sola è molto, troppo rischioso. La diagonale
palleggiatore/opposto è la colonna vertebrale di qualsiasi
squadra, e metterla in mano a un alzatore appena ventiduenne (e
con un solo anno di A1 alle spalle) e a un opposto di 27 anni che
fino a quattro mesi fa era un centrale, beh, è davvero un
azzardo per chi punta ad entrare tra le prime quattro d’Italia.
Senza offesa per l’ottimo Kooistra (la colpa non è
sua ma di chi gli ha addossato così tante responsabilità),
la scommessa che ci può stare è quella su Dragan che
è giovanissimo ancora, ha stoffa e testa e ama Modena. Ma
avrebbe dovuto potersi affidare, nel suo primo campionato in un
top team, a un terminale concreto e solido: Kooistra non lo è,
per forza di cose. E personalmente sono anche fermamente convinto
che cambiare così radicalmente di ruolo a 27 anni (cioè
a maturità già ampiamente raggiunta) sia un azzardo
che una volta va bene (Giani, ma quella era altra categoria, altra
classe, Omrcen un anno fa) e dieci va male, soprattutto se questo
“transformer” non ha schiacciatori in grado
di sopperire ai momenti di appannamento, come per esempio
ha Macerata per far rifiatare Omrcen. Kooistra non li ha, questi
alleati, perché Dennis è Dennis e Murilo è
concreto ma non una prima banda che si carica il peso della squadra
sulle spalle quando ce n’è bisogno. E quindi puntare
sull’olandese alla lunga potrà forse essere produttivo
(vi ho già spiegato un personale scetticismo) ma resta comunque
un azzardo. Lasciando stare la diagonale principale, il resto della
squadra è medio-mediocre, con acquisti di ripiego, fatti
anche senza troppa convinzione, strani per una piazza come Modena.
Vedi l’onestissimo Siebeck, l’olimpionico ma semi-sconosciuto
Lee (che se a 26 anni giocava ad Ankara e non a Treviso o Mosca
un perché ci sarà), il simpaticissimo Smuc. Forse
sarebbe stato più onesto dire «quest’anno i soldi
sono questi, i giocatori sono il meglio che con questo budget abbiamo
potuto prendere, sono giovani, hanno entusiasmo, vediamo che succede».
I proclami non ci piacciono, soprattutto se mettono pressione e
sopravvalutano i nostri amici.
Insomma, e parliamo più dati alla mano che per sole convinzioni
personali, se c’è qualcosa da cambiare, dentro Pallavolo
Modena, non è l’allenatore. Non solo, se non altro.
O meglio, allenatore e giocatori non si sono dimostrati
finora all’altezza degli obiettivi che sono stati loro assegnati.
Ma se allenatore e giocatori, tutti, non valgono quanto si pensava,
allora forse la colpa è di chi li ha messi lì, prima
di tutto, e ha preteso da loro successi che non potevano arrivare.
Ci aspetteremmo, quantomeno, una costruttiva e severa autocritica.
Sarebbe un inizio, se non altro. Se c’è qualcosa da
cambiare è soprattutto e prima di tutto in alto, ai vertici
della dirigenza. Negli uomini, pensiamo noi. O almeno nella strategia
d’azione, ma in maniera assolutamente radicale, anche se ci
pare difficile.
Perché tanti anni di fallimenti non si possono imputare soltanto
a Giani, a Ricardo, a Kooistra.
I traguardi che si prefissano all’inizio della stagione si
possono centrare o meno, questo sempre. Ma un conto è arrivare
secondi o terzi, un metro più indietro, un punto più
indietro, un secondo più indietro, un altro è arrivare
a due giri di distacco senza mai vedere i primi, a 30 punti, fuori
tempo massimo. Se si arriva a due giri di distacco, avendo gli stessi
soldi se non dei primi due, almeno dei terzi (non sappiamo ora,
nelle prime tre stagioni della nuova Pallavolo Modena di sicuro),
beh allora non ci sono solo i piloti che non vanno. È chi
costruisce la macchina, che ha le colpe principali. Punto.
In bocca al lupo, caro Zanini. E tanta fortuna, perché di
culo ne avrà bisogno, almeno fino a maggio, sissignore.
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