Steso sul prato
Napoleone scrutava l’orizzonte. Ben presto si accorse che
la collina che stava contemplando da qualche attimo non era il campo
della futura, decisiva battaglia. Era la sua pancia.
Si tirò un po’ su allora, e continuò a guardare
in direzione dell’accampamento nemico. Il capitano del suo
battaglione migliore, Leonard La Carrette, stava ancora
dormendo. Ovviamente, erano soltanto le tre del pomeriggio.
Appena alzato avrebbe chiesto la solita birra al responsabile delle
vettovaglie, Muhammed Von Pirr, un arabo-tedesco
fatto prigioniero da Napoleone nella sua campagna d’Egitto
e poi divenuto fedelissimo collaboratore dell’esercito dai
vessilli rossoneri. In cucina, assieme a Muhammed, lavoravano il
fido cuoco Andrè La Cosse, specialista in
piatti di mare, e Albert Le Belle, addetto ai condimenti,
amante del pepe. Il loro amico, il tenente Condoms,
ribelle dell’esercito inglese, scherzava in cucina con Muhammed:
gli stinks volavano, in attesa che il capitano venisse a reclamare
la sua bevanda.
A qualche miglio di distanza Lord Wellington stava finendo
di sistemare la lunga parrucca bianca, così come
impone il galateo inglese prima delle battaglie.
Il suo esercito, pronto a sferrare l’attacco decisivo alle
truppe dell’imperatore-stratega francese, era rilassato,
in attesa di un errore avversario, di un cedimento, di una ribellione
intestina. Lord Wellington aveva osservato tutte le ultime mosse
della Francia: ne aveva studiato le battaglie, valutato
i possibili punti deboli, conosciuto le vicende interne, assieme
all’alleato e parente prussiano Robert Von Briss.
Il missionario PierMary Nibbs era il regista oscuro
di tutte le trame dell’Esercito delle Nazioni e certamente
Wellington, ricordandosi della cocente sconfitta di Austerlitz,
aveva fatto un grande affidamento su di lui per riportare l’Europa
indipendente alla vittoria. Il tenente centrale Sean Paul
La Carrette, nipote ribelle del capitano di Napoleone,
componeva rime in stile americano per passare l’afoso pomeriggio,
mentre il suo compagno di reparto Maximilien Manfrin,
alto-atesino fedele alla causa austro-ungarica, si dilettava nello
studiare gli schemi di battaglia. Punti di forza dell’armata
di Wellington erano certamente il fido Richard Raymond,
un comandante inglese convinto dopo qualche titubanza ad entrare
in battaglia, ed il rivoluzionario latino americano Esteban
Strichetos, fautore e promotore della libertà delle
colonie americane di Spagna ed ora libero anche lui. L’altro
missionario, frate Elias, stava catechizzando la
retroguardia sul da farsi in caso di sfondamento, mentre Matthew
Malms con la sua mano mancina scriveva lettere d’amore.
Insomma, l’attesa, nel composito campo dell’Esercito
delle Nazioni, era piuttosto tranquilla: dopo anni di dominio
napoleonico sembrava ormai giunta l’ora di scalzare l’imperatore
dal suo regno e porre così fine alla dittatura francese sull’Europa.
Il Bonaparte ora si aggirava agitato tra le tende. Non era mai tranquillo
prima delle battaglie e di notte non dormiva. Spesso si
dilettava nell’andare a vendere frutta ai mercati rionali
delle città conquistate, per ingannare il tempo
e l’insonnia. Adesso, vedendo la sua imbattibilità
messa in seria discussione, era meno tranquillo che mai. Emmanuelle
Armarole, dama rossa di compagnia, non riusciva ad allietare
i pomeriggi del sovrano, anche perché l’eroe di tante
battaglie, Alexandre George, soprannominato, proprio
per le sue doti miracolose, Saint George, tardava
a presentarsi, attardato da un fastidioso mal di testa procuratogli
dai tamburi e dalle trombe che avevano annunciato l’arrivo
delle truppe nemiche. Tra l’altro uno dei più valorosi
comandanti, Lord Ugolini, generale di chiara origine
italiana, era come suo solito ubriaco, e si aggirava a piedi
per la campagna circostante cercando il suo cavallo. Vère,
compagna d’amore saffico di Emmanuelle, lo trovò vaneggiante
tra le verdi colline del Belgio e riuscì a ricondurlo al
campo, ma l’ebbrezza persisteva e Lord Ugolini non era certo
in grado di affrontare la battaglia. Anche il Sergeant Berjeant
vaneggiava nella sua tenda, ripetendo, a intervalli regolari,
l’inquietante frase: “C’est impossibile!”.
Forse si riferiva all’imminente battaglia? Forse a qualche
donna non concupibile? Nessuno era in grado di decifrare l’enigma.
Insomma, la situazione dell’esercito imperiale non
era certo delle migliori. Gli unici in grado di sostenere
la battaglia, al momento, sarebbero stati i due Alexandre: Alexandre
le Guerce e Alexandre Le Champion, ma tra loro
non correva buon sangue, per via di un’antica disputa
sulle munizioni. Il primo, infatti, addetto alla distribuzione
dei proiettili, era solito trascurare il secondo, pur valorosissimo
combattente, nella spartizione. E così non si potevano
certo affidare alla coppia, almeno per il momento, le sorti della
battaglia. Il vecchio generale Von Papotten, recluta di
Napoleone nella battaglia di Borodino, era ormai giunto alla fine
della sua carriera militare, per ora avara di successi.
Ancora capace di idee e soluzioni geniali, il fido militare di Napoleone
non avrebbe certo potuto reggere da solo il peso della sfida decisiva,
tanto più che l’altro generale, Emilien Mal
à Volte, era gravemente ferito ad una gamba, e non
sarebbe stato in grado si prendere parte all’agone.
Napoleone era consapevole del clima di accidia e lascivia
che aveva preso possesso del suo esercito, ma continuava a ripetere
ai suoi che bisognava trasformare e scavare. Trasformare
quelle facce ebbre di alcol e di lussurie in uomini vincenti; scavare
nel fondo dei propri cuori alla ricerca delle motivazioni rivoluzionarie
che avevano condotto la Francia a esportare la democrazia, ovunque.
Ancora una volta, l’ultima.
Rimaneva qualche battaglia da affrontare, sia dall’una
che dall’altra parte, prima dello scontro finale.
Ma contro eserciti di piccoli comuni, la vera guerra sarebbe stata
di lì a poche settimane. Non sarebbe stato facile
passare Carpi, per il Bonaparte, ma bisognava arrivare a Lipsia
nelle migliori condizioni.
Alle quattro del pomeriggio la situazione, nei due campi distanti
solo qualche miglio, era tranquilla. Mentre Lord Wellington si accingeva
a ricostruire il piano d’attacco col generale Von Briss, Napoleone,
finalmente, si addormentò. Sognava Saint George.
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