Una
storia iniziata molto lontano... circa
qui... e che si conclude così...
Lo
scontro della Croisette non era stato decisivo. In quell’occasione
Napoleone aveva schiantato l’Esercito delle Nazioni. Esercito
delle Nazioni che era convinto, nel momento di maggior successo,
di poter dare la spallata finale alla coalizione francese
che dall’Ottobre Rosso deteneva il potere, ma che cominciava
a dare preoccupanti segnali di cedimento, a partire dalla sconfitta
negli scontri coi reazionari di Carpi. A nulla erano però
valse, nella battaglia della Croisette, sul campo dedicato a Palmiro
Marconi, le valorose azioni di PierMary Nibbs e
di Maximilien Manfrin. L’esercito
francese, con una prova di coraggio, compattezza e umiltà
aveva preso di nuovo il sopravvento, grazie anche all’aiuto
della popolazione e del gruppo rivoluzionario denominato ZeroCinqNoeuf,
mandato in avanscoperta assieme ai tamburini e ai trombettieri.
Quella che sembrava essere la battaglia decisiva non aveva però
ancora risolto del tutto i problemi in seno all’Impero. Nonostante
la disfatta, Lord Wellington e il generale Von Briss erano
riusciti a mantenere compatte le truppe e già battendo
in ritirata erano riusciti a non soccombere contro l’ondivaga
popolazione di Carpi, cercando poi rifugio in terra di Toscana.
Una scelta che si sarebbe poi, di lì a poco, rivelata infelice.
Anche l’Esercito delle Nazioni comunque cominciava a manifestare
stanchezza e malcontento per quella che sembrava essere una guerra
infinita contro una coalizione compatta e che, soprattutto sul suolo
patrio, sembrava imbattibile. Ciononostante Sean Paul La
Carrette continuava a fare proseliti tra i neri dei ghetti,
mentre Esteban Strichetos cercava di portare dalla
sua parte il popolo sempre più alla fame. Richard
Raymond, a parte qualche screzio col generale Wellington
dovuto al fatto di essere stato messo tra le seconde linee durante
lo scontro della Croisette, continuava a martellare di colpi d’artiglieria
ogni nemico, mentre Matthew Malms e frate Elia
catechizzavano i fedeli, ed avevano convertito il monastero salesiano
di Bologna alla guerra santa contro l’Impero di Napoleone.
Frederic Sevère era invece fuori combattimento,
ma lo era stato per gran parte della campagna.
Insomma, una situazione tutt’altro che rosea, quella
che si prospettava a Napoleone dopo la vittoria, con un nemico ancora
non intenzionato ad arrendersi. Tanto più che l’esercito
era ormai allo stremo: Lord Ugolini era solito amoreggiare
presso le sedi abbaziali presenti sul percorso e quando non amoreggiava
se la faceva letteralmente sotto e costringeva l’esercito
a cercare pannoloni in ogni villaggio. Alexandre le Champion,
dopo aver macinato chilometri su chilometri, avvertiva problemi
con la forza di gravità, e non era più in grado di
garantire il solito apporto con l’artiglieria pesante. Andrè
la Cosse, che lo avrebbe dovuto far rifiatare, a forza
di stare in cucina era diventato un piccolo barile, mentre il suo
fido compagno tenente Condoms era perennemente
in una clamorosa busca dettata dal cuoco Muhammed Von Pirr,
che voleva assolutamente affibbiargli un maialino mentre lui pretendeva
la classica tagliata rucola e grana. Fortunatamente il capitano
La Carrette interveniva a dissipare queste dispute
in seno all’esercito, con parabole leggendarie e miracoli
di moltiplicazione delle birre. Proprio il capitano La Carrette,
vista la sua secolare esperienza, era uno dei pochi ancora lucidi,
e la sua astuzia si sarebbe rivelata determinante ai fini del successo
finale. Emmanuelle Armarole era incagliato presso
le sabbie mobili della temibile palude della Duna degli Orsi, vicino
a Cesena, con l’amico americano Channels
che cercava in tutti i modi di tirarlo fuori a forza di cannonate,
con la sua arma segreta denominata Tequila Bum Bum. Con Emilien
Mal à Volte ancora nell’ospedale di campo
per la ferita da arma da fuoco che rischiava di fargli perdere la
gamba, il reparto centrale dell’esercito era entrato in crisi,
tanto più che il generale Von Papotten si
era ferito da solo, sparandosi inavvertitamente un colpo sul collo,
proprio poco prima dell’assalto alla fortezza di Bologna.
Il Serjeant Berjeant vagava innamorato nel canile
dell’accampamento, ormai perduto nella lingerie della sua
padrona, mentre Albert Le Belle, intento a finire
le scorte di sambuca delle truppe, andava a letto con qualsiasi
essere vivente incontrasse, lui, “tombeur de bidons”.
E per questo era stato abbandonato al suo destino nei sobborghi
tetri di Ferrara. Un esercito in disfacimento quindi, ma
le speranze erano legate ad alcuni validi comandanti. Assieme a
La Carrette, per esempio, manteneva un buon rendimento
in battaglia anche Alexandre le Guerce, che aveva capito dove smistare
le munizioni. Alexandre “Saint” Gorge
si era infatti svegliato dal torpore che lo aveva preso durante
l’inverno e aveva deciso di regalare all’Esecito francese,
amoroso e accogliente con lui, le ultime e definitive vittorie.
A guerre concluse (e Saint Gorge non voleva si dilungassero, perché
la popolazione era ormai in ginocchio) se ne sarebbe andato in Brasile
e, sotto lo pseudonimo di Giuseppe Garibaldi, sarebbe diventato
l’”Eroe dei due mondi”, vincendo battaglie anche
nel Nuovo Continente. Le sorti delle decisive battaglie
erano affidate a lui, e alla compattezza degli alti gradi di Napoleone.
Una piccola tregua nelle cruente battaglie si ebbe nello
storico incontro al passo del “Morsichino”,
quando soldati dell’Esercito delle Nazioni e truppe Francesi,
assenti i rispettivi generali, si sedettero a bere assieme fiumi
di birra, concordi sul fatto che il passo fosse pieno di donzelle
impregnabili e che Gianluca da Sassuolo fosse un imbecille. Ma la
tregua durò poco.
Wellington stava subendo perdite ingenti sul fronte toscano e la
fine, per l’Esercito delle Nazioni, sembrava vicina, tanto
più che Napoleone continuava a recuperare le posizioni perdute
a suon di battaglie vinte contro i ribelli. Si avvicinava
il giorno decisivo, il giorno della battaglia di Bologna,
contro l’ultima roccaforte dei ribelli, il monastero dei salesiani
ancora fedele a Wellington.
Max Nannhein, conte di Ehindhoooven e di Carpi,
non poteva che osservare la guerra dal colle di Parma, ormai tagliato
fuori dai giochi di potere. Al suo fianco, nel punto di osservazione,
il tenente Grilled Meat, valoroso ma innocuo, che
solo poche settimane prima, durante le sommosse di Carpi, aveva
provocato verbalmente il generale Von Papotten: “Non
vincerete mai la guerra - aveva detto Grilled – siete inadeguati”
(forse la trascrizione dei messaggeri non è fedele all’originale).
Laconica la risposta del generale francese: “Non è
tempo ora di contraddirti. Sarà la Storia a parlare”.
E la Storia parlò.
Napoleone caricò i suoi a dovere assieme al fido assistente
e inventore di nuove tecnologie Conrad Baptistin
e, appresa la notizia del disfacimento dell’Esercito di Wellington
in Toscana, diede l’ordine dell’ultimo e decisivo assalto
alla fortezza di Bologna. L’Esercito dell’Impero serrò
le fila e, guidato dalle bordate di Saint Gorge
e dalle prodezze balistiche di La Carrette, tirò
giù a cannonate il monastero di Bologna. Un
trionfo, un’apoteosi, una vittoria che solo poche settimane
prima sembrava irraggiungibile ma che metteva la parola fine a mesi
di sanguinosi scontri. La pace era ritornata, mentre Napoleone e
il suo esercito marciavano sulle macerie di Bologna, tornando a
casa.
Napoleone rientrò a Modena, con l’esercito
al completo, portato in trono dai suoi e dalla popolazione. E dal
Balcone di via Canaletto (o meglio, dalla Terrazza) pronunciò
un commovente discorso alla nazione, in stile leggermente da ventennio,
ma il popolo apprezzò lo stesso. Donne e uomini piangevano
commossi alle parole dello stremato generale, che aveva perso la
sua folta chioma in battaglia e aveva dovuto ingoiare così
tanti bocconi amari da risultarne ingrassato. Le lacrime e le urla
di giubilo e festa salutavano l’esercito trionfante e la riconquistata
pace.
L’Impero aveva vinto. La Storia era cambiata.
Grazie Pancia
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