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19/12/2001

Questa settimana ho deciso di spedire una e-mail a Luther per chiedergli di puntualizzare la sua posizione nei confronti della Polisportiva Villa d'Oro, mi sono infatti reso conto che purtroppo sono in molti a non leggere le 9 righe sopra; spero che lui sia in grado di spiegarle una volta per tutte! Ricordo tra l'altro che Luther risponde (come potete vedere nell'archivio) a tutte le vostre lettere, domande, critiche, elogi che siano. Parlatene direttamente a lui!
n.d.w. Manuel Armaroli


Mi sono sempre domandato se la difficoltà ha limiti? La difficoltà di capire, di fare, di amare, di odiare, di pensare, di agire, la difficoltà nella sua accezione più completa. Ha limiti? Esiste una situazione oltre la quale una determinata cosa non è più difficile? Forse il limite può essere la conoscenza. Sai, quindi sei, perciò puoi. Comunque teorizzare è semplice o per lo meno non richiede verifica, ma senza prove empiriche la mia domanda non potrà avere risposta soddisfacente. Perciò ho cercato una prova, un fatto particolare... niente. Fino ad oggi. Ora so che la difficoltà, in alcuni casi, è illimitata. Mi spiego. Non parlo in termini universali, mi soffermo sull'individuo. L'uomo è perennemente incastrato in eventi che non riesce a interpretare; questo lo porta verso una ricerca (implicita o esplicita) di una soluzione e trovarla comporta il superamento dell'ostacolo. Ma come ho detto esistono casi per cui la soluzione non esiste. Possibile? Certo. Un esempio? Subito.
La Villa d'Oro non ha alcun rapporto con la mia persona. Quante volte lo avete letto su queste righe? Due, tre, quattro volte? Bene. Questa affermazione per molti è stata la soluzione cercata per superare un ostacolo, o almeno lo è stata in parte. Chi è Luther Blisset? Se questa è la difficoltà, il fatto che io non abbia alcun rapporto con la Villa d'Oro dovrebbe essere un'informazione che elimina una categoria di persone. Invece no. Sono venuto a sapere che per alcuni elementi la difficoltà di collegare un fatto ad un evento è disarmante. Per loro io sono un membro di questa società perché sono ospitato nel sito: al di là di questo semplice nesso non sanno andare. La loro razionalità ha limiti, la loro difficoltà di comprensione no. Ma non faccio discriminazioni, perciò chiarisco ancora una volta, sperando di non dover ricorrere all'assistente sociale o a quaderni con disegni per farmi capire. Luther Blisset, ovvero il sottoscritto, non appartiene alla Villa d'Oro, non la rappresenta, così come non appartiene e non rappresenta nessuno se non se stesso e i pensieri frutto di quella arma diabolica che è la mente umana.
Torniamo al volley. Ho letto ultimamente - due o tre giorni fa - un articolo su "la Repubblica" che trattava della pallavolo femminile. Un pezzo di colore. Si parlava dei contratti delle donne. A quanto pare, alcune ragazze (ma presumo che l'ambito sportivo non sia limitato) che si trovano a firmare contratti con club, sono obbligate ad accettare due clausole riguardanti gravidanza e stupefacenti. Di che si tratta. In pratica, nei club di alto livello, o meglio nei club dove il giro finanziario è elevato, i contratti delle atlete prevedono il diritto di rescissione (da parte della società) nel caso in cui si dovessero trovare in "dolce attesa" durante il campionato, oppure se dovessero risultare positive a test antidoping. Niente di sbalorditivo. Come affermava giustamente il giornalista: in serie A, tutti i giocatori di pallavolo (anche i maschi hanno le loro restrizioni, ad esempio non possono sciare) sono ormai dei professionisti con regolari contratti da lavoratore autonomo. Come tali hanno il diritto di programmarsi gli impegni lavorativi, ma ovviamente senza le stesse coperture e protezioni del lavoratore dipendente. Insomma, scegli di lavorare? Bene. Rimani incinta o vai a sciare e ti rompi una gamba? Scordati la giusta causa. Sei venuto a mancare al contratto e agli impegni firmati. È bene dire che, in genere, tutto questo è accettato dagli atleti, quindi dove sta il problema? Se sorvoliamo (non vorrei, ma sarebbe troppo pesante da affrontare in questo contesto) sul problema etico del condizionare comunque l'esistenza umana a fini di lucro, rimane un particolare allarmante. Una delle clausole prevede la rottura del contratto nel caso di abuso di sostanze stupefacenti o dopanti.. Quindi, se ho ben capito, una atleta positiva ad un test antidoping (ad esempio) potrebbe trovarsi a spasso per inadempienza contrattuale, proprio come se fosse in stato interessante. Bingo. Non voglio essere in mala fede, ma dubito sinceramente che un'atleta trovata positiva all'antidoping venga licenziata (anche se sarebbe giusto nel caso si dimostrasse la volontarietà dell'atto), per il semplice fatto che fino alla sospensione può giocare, fare punti, e far fare soldi. Signori miei, non ci prendiamo in giro. Non sono d'accordo sul costringere le atlete a non avere figli nel periodo di attività agonistica, ma i soldi si sa fanno dimenticare qualsiasi cosa. Mentre sarei d'accordissimo sul licenziamento in caso di doping, ma questo non avverrà mai, perché si sa i soldi fanno dimenticare qualsiasi cosa.
Saluti... Luther Blisset

email: lutherblisset3@hotmail.com


(Traduzione a cura di Antonella Castellazzi)