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Ho preso coraggio, finalmente. Rileggendo le qualità scritte finora mi sono accorto che stavo cercando di focalizzare un'idea, ma quasi impaurito dall'esagerata grandezza del mio intento nascosto, ci giravo intorno, perdevo tempo. Ho preso coraggio, finalmente.
Nel cercare di decifrare appieno il linguaggio video, mi sono scontrato in un percorso a ritroso; sono prima passato per la fotografia, poi ho sbattuto il muso nella fisica della cinematica e della causa-effetto, per poi giungere alla metafisica. Ora voglio ripercorre questo percorso al contrario, partendo dal minuscolo e densissimo significato dell'immagine, per poi arrivare alla struttura video compiuta.
In informatica un'immagine altro non è se non l'unione di tanti punti luminosi, di diverso colore, che posti uno di fianco all'altro formano l'immagine. In realtà tra un punto e un altro (ci sarebbe da discutere poi sulla definizione di punto, che però nell'ambito informatico trova un'ancora di salvezza nella definizione della scheda video, cioè nel suddividere uno schermo in un reticolo indivisibile; nel mondo reale mai si è riusciti a raggiungere un reticolo indivisibile) esistono spazi vuoti, quelli che definiscono un punto da un altro. La difettosità del nostro occhio non ci permette di vedere quest'imperfezione, dandoci l'idea di un'immagine. Quindi alla base dell'immagine, che è la madre del video, esiste un errore di valutazione, un approssimazione. Molti di voi potrebbero farmi notare la precarietà di un parallelismo tra video digitale e analogico, formalizzando il mio pensiero sul veicolo. In realtà anche il veicolo analogico presenta una struttura speculativa basata su un nostro errore di valutazione, che è l'interazione intermolecolare e interatomica della stampa della foto (o della pellicola). Tra molecole e atomi esistono vuoti che in relazione alle grandezze dei pieni sono mostruose. In realtà noi si dovrebbe vedere tanto vuoto punteggiato, ogni tanto, da piccoli minuscoli invisibili pieni (il rapporto tra il nucleo di un atomo e la sua nuvola d'elettroni è di un pallone da calcio in mezzo all'aeroporto di New York).
Quindi, prescindendo dalla natura analogica o digitale dell'opera, si ha sempre di fronte ad un oggetto che contiene un errore strutturale, un'imperfezione che renderà l'opera sempre un passo indietro all'idea che si ha di lei, bella o brutta che sia.
Fabio Liberati