23/04/2002
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Provate a immaginare il mio imbarazzo. Avevo rinunciato alle cure
di famiglia, alle comode mani di mio padre per cadere in quelle di
un poliziotto isterico e sfrontato. Tutta quella corsa per arrivare
esausto, sfinito, addirittura cadavere. Uno dei tanti pesi morti da
benedire e sistemare al Camposanto.
Mi caricarono sulla barella due infermieri del Pronto Soccorso, gli
stessi che si preoccuparono di raccogliere tutti insieme i miei effetti
personali. Per un solo istante, e precisamente quando davanti agli
occhi vidi scorrere la cerniera del cellophane, ebbi come la sensazione
di essere ancora vivo. Una scossa elettrica, l'ultima ma di sicuro
la più vigorosa di tutta la vita, attraversò i miei
nervi e li fece strepitare per una frazione di secondo. Magari attraverso
il metallo neutro e freddo, ma quella scarica di elettrodi arrivò
anche alle mani degli infermieri. Ne sono certo perché, al
momento di cucire l'ultimo strappo di cerniera, si guardarono in faccia
spaventati a morte da quell'improvvisa vibrazione. Del resto credere
agli spiriti era sicuramente più facile per loro che per qualsiasi
altro. In ambiente d'ospedale chissà come girano le voci di
persone ancora vive che si sono svegliate chiuse nella bara, con l'anima
già pronta a essere giudicata.
"Allora - esclamò Dondoni rivolto alla folla che lo circondava
- scommetto che nessuno di voi ha visto e sentito niente".
A sorpresa si fecero avanti due testimoni. Una coppia di sposini in
viaggio per Firenze che si era fermata in quell'autogrill per fare
il pieno e cambiare l'olio. Malgrado i suoi colleghi continuassero
a prenderlo in giro, a Dondoni piaceva dividere i testimoni in due
categorie perfettamente complementari tra loro: quelli che hanno visto
i fatti da vicino e - non potendosi sottrarre al ruolo chiave del
testimone oculare - sono costretti a coniugare tutti i verbi ordinatamente
al passato, e quelli che - avendo assistito da più lontano
- preferiscono cavarsela con il condizionale.
email: fabietto13@libero.it