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02/05/2002
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Chiarita la dinamica restava l'ombra di un movente assai vicino alla politica. Altrimenti perché tutto quell'ingegno? A meno che non fossi stato il figlio di qualche senatore, o io stesso un pesante deputato, restava un mistero l'impiego di tutto quell'esercito. Chi ero di così importante da scomodare due auto d'epoca e addirittura un tram di terroristi? Neanche il tempo di organizzare una risposta che fui caricato sopra l'ambulanza. Finalmente andavamo via dall'autogrill. Non che fossi scontento della mortale accoglienza di quella stazione di servizio, per carità di Dio, ma provate a chiedere a qualche torero che ricordo si porta della sua arena di morte. Le strade che l'ambulanza percorreva erano piene di buche parecchio profonde, e io continuavo a saltare sulla barella come un piombo sul piatto della bilancia. Quelle trappole maligne risvegliarono nel mio animo l'ossessione del corpo umano. Le narici dell'asfalto, nel respirare ossigeno e catrame, incollavano quel trabiccolo al ciglio stradale facendo lievitare il suo peso fino a quando il passo non diventò quello di un carro funebre carico di ossa maledette. Dopo neanche un chilometro di strada l'ambulanza inchiodò una frenata davvero poco elegante per me che stavo quasi uscendo dai panni di cadavere per volare in cielo, leggero come un angelo. Altrettanto fece Dondoni, non senza qualche imprecazione che, alla sua efficienza e al suo cuore italiano di poche parole, si perdonava sempre volentieri. Il conducente dell'ambulanza scese e fece segno a Dondoni di restare in macchina dove l'avrebbe raggiunto per dirgli qualcosa di impensatamente grave.
"Ma che cazzo fai? Perché ti sei fermato?".
"Adesso mi sono ricordato - fece languido a Dondoni -. L'obitorio di Santa Teresa è occupato da Luigi Colapietra, il macellaio di Gubbio che s'è tagliato di netto l'avambraccio. Ieri poi è arrivato un altro sventurato. Un giovane di Arezzo morto per strada mentre baciava una fidanzata".
"E la ragazza?" chiese tempestivo Dondoni.
"A casa dai suoi, non si è neanche graffiata".
"E adesso come facciamo?".
"In ospedale non possiamo tenerlo. Ricordi l'affare Santospago?".
Questa dei Santospago era una famiglia morta tutta insieme una domenica mattina per l'improbabile fuga di gas dai fornelli di una cucina a legna. In ospedale i loro cadaveri vennero occultati da un becchino dell'obitorio d'accordo nel dividere a metà coi Santospago la posta di quella morte decorosa. Lo scandalo fece in breve tempo il giro del paese e l'assicurazione riuscì a scamparsi il guaio di pagare ai pochi parenti rimasti circa seicento milioni di ghirlande e crisantemi. Da allora il primario vietò categoricamente l'ingresso in ospedale a qualsiasi deceduto, sia per fame che per amore.
"Niente più cadaveri in casa mia" e le porte dell'ospedale si chiusero per tutti, anche per me.

email: fabietto13@libero.it