HOME PAGE PALLAVOLO

11/05/2002
CLICCA QUI PER LA PUNTATA 10
Per un attimo fui quasi infelice di abitare quella casa, di infastidire quell'armonia tanto perfetta da far sentire timida ed estranea anche la polvere. Tutto d'un fiato Dondoni improvvisò una sola spiegazione per sua moglie e la bambina; chiese loro un astuto sacrificio, una croce quasi impossibile da portare che si sarebbe fatta via via più leggera davanti al patibolo di una promozione che non avrebbe tardato più di una settimana ad arrivargli. Davanti alle parole di suo padre, Martina non se la sentì di protestare ma si capiva benissimo di quali pene stesse soffrendo dopo aver atteso quella domenica tutto l'anno. Neanche sua madre a quel muso crucciato e insipido di gioventù seppe resistere a lungo. La tentazione di fare comunque una piccola baldoria fu più forte del rispetto che, in ogni caso, avrebbero dovuto portare verso il sepolcro di uno sconosciuto. Io non avrei di certo interrotto i preparativi, me ne sarei rimasto buono nella mia alcova a contare le ore che mi separavano dall'ingresso nella corte dei ricordi.
Poco per volta la piccola Martina si lasciò andare in certi canti di memoria indiana, rovesciò le sedie e s'inventò una danza propiziatoria sul tavolo grande della cucina. La sua gonna si liberava nell'aria come un incessante campanello di vita, uno squillante desiderio di gioventù che neanche quel cimitero improvvisato riusciva a contenere. Era come vedere mia figlia. Non avevo fatto in tempo a salutarla prima di uscire quando invece me la trovavo davanti come un folletto bruno e capriccioso. Come potevo sottrarmi al desiderio, magari l'unico di quella famiglia, di essere lasciata fuori dalle transenne del mio delitto, dalla traiettoria di quelle pallottole che il loro stesso capofamiglia aveva raccolto e sigillato come fossero cimeli da museo.
Un po' mi imbarazzai quando vidi entrare nel salotto dove ero sistemato la moglie di Dondoni. Aveva un'aria trafficante, una faccia da arlecchino che non lasciava trasparire il colore delle sue intenzioni; sorrise apparentemente senza motivo, si scansò non solo dal mio corpo ma anche dal mio possibile orizzonte visivo e dal tiretto di una cristalliera tirò fuori una magnifica torta farcita. Era di una abbondante felicità, farcita con sette candeline come quelle appese al collo di Martina.
"Metti a posto quella torta - urlò ferocemente Dondoni afferrando le sue mani - Ma come? Prima tutti d'accordo e poi festeggiate come niente davanti a quel povero Cristo. Ma ce l'avete un cuore o no?".
Alla donna non smetteva di piacere quando suo marito tornava a casa con l'aria perfetta di chi ha patito il giorno come i suoi antenati la fame e le pezze al culo. Profanare quella intensa sacralità poliziesca era per lei un punto da cui partire per poi spogliarlo e portarselo a letto, per umiliarlo con la sua faccia da mentitrice e poi farsi infilare di sana intenzione. Gaetano Dondoni a quegli intenti così delicati, a quelle astuzie un po' puttanesche e a quell'abilità corporea non aveva mai saputo rispondere se non capitolando. Quello che di lei gli piaceva di più era che mentre faceva l'amore doveva succhiare un ciuccio da bambino per raggiungere la gloria completa. Arrivarono ad averne una sfilza di quante grandezze, forme e colori si trovavano sul mercato, e sua moglie li attaccava alla testata del letto per trovarli alla cieca nei suoi momenti di estrema urgenza.

email: fabietto13@libero.it